A cura di Hamelin Associazione Culturale
Contributi di Maria Attanasio, Maurizio Braucci, Mimmo Candito, Marco Carsetti, Giuseppe Corrias, Bruno Falcetto, Goffredo Fofi, Vittorio Giacopini, Stefano Laffi, Nicola Lagioia, Emiliano Morreale, Renato Novelli, Paola Splendore, Emilio Varrà.
Roma, Edizioni dell'asino, 2010, p. 186
(Le muse furiose)
ISBN 978-88-6357-021-2 - Euro 12,00
Prefazione
Dedicare una riflessione e un volume all’Avventura, non intesa solo come genere specifico ma come atteggiamento esistenziale capace di dare forma ad azioni e finzioni, provoca fin da subito l’emergere di un’atmosfera nostalgica, ci porta a pensare a stagioni letterarie lontane, al trionfo del fumetto e del cinema classico, a imprese di esplorazione e conquista ormai impossibili in quella forma. Non siamo fuori tema: la nostalgia è tanta parte dell’Avventura, è motore principe del racconto, e lo sanno bene Stevenson mentre lamenta la sparizione del fascino per la pirateria
o Pratt che fa camminare il suo Corto Maltese in un mondo in via di estinzione. E come non pensare al fatto che il Novecento è il secolo della sparizione delle frontiere, alla contrazione delle distanze del mondo, alla globalizzazione che minaccia ogni possibile alterità, al turismo di massa che ha macinato ogni altrove possibile, alla perdita di un senso di esaltazione per le scoperte e il futuro, sostituito dalla paura conclamata di esserne vittime e non attori. Persino le proposte contemporanee della letteratura per ragazzi, da sempre luogo privilegiato per il racconto d’avventura, sembra aver rinunciato a certi scenari, a certi intrecci, ad un certo tipo di eroi. Ma un atteggiamento di questo tipo rischia di essere superficiale e di lasciarsi andare sull’onda pericolosa dei “bei tempi andati”. L’Avventura non è questione del passato, piuttosto direi che l’Avventura è. Semplicemente esiste. Sempre. In primo luogo perché è uno di quei nuclei archetipici che connotano la forma di esistenza e di conoscenza dell’uomo e come tale non è sostituibile. In secondo luogo perché attraverso di essa si diramano una tale quantità di riflessioni, temi, simboli, aspetti del vivere, che davvero non si può evitare di considerare l’Avventura sempre come una chiave interpretativa privilegiata per leggere il reale, presente compreso. Pensiamo, ad esempio, al rapporto contrastato che abbiamo con l’ambiente e il territorio, alla perdita di un contatto fisico con esso, all’oscillazione tra allarmismo e menefreghismo, tra interessi economici e catastrofi naturali, quelle stesse che ritroviamo sulle pagine di Ballard. O pensiamo al rapporto con il corpo, le cui cicatrici necessitano all’Avventura, al nostro rifiuto dell’invecchiamento, alla chirurgia estetica, a un senso generalizzato di astrazione da esso, e nello stesso tempo alla diffusione degli sport estremi, al recupero di codici tribali come il piercing o il tatuaggio, ma depauperati del loro senso vero, più simili a codici a barre sulla pelle che a segni identitari. Pensiamo al rapporto con la morte, compagna silenziosa ma sempre presente in ogni impresa avventurosa, vero tabù della nostra contemporaneità, accompagnato però – in un andamento schizofrenico che caratterizza il nostro tempo – dalla crescita dei suicidi giovanili, dalla proposta di una moda gotica e cimiteriale, dalla presenza ingente di mercenari negli scenari bellici. O al rapporto con l’Altro, nodo centrale e problematico del nostro presente, tra grandi flussi migratori, ossessione paranoica per la conservazione dei confini geografici e culturali, forme di esotismo di massa, “scontri di civiltà”. Pensiamo infine al legame tra avventura e pedagogia, a come la prima si ponga sempre anche come espressione dei modi con cui una comunità si organizza per far crescere le nuove generazioni, attraverso soglie, riti iniziatici, prove da superare, e a come la nostra società stia affrontando, o meglio non affrontando, la questione. È con questo atteggiamento, aperto e libero di muoversi e di mescolare discipline diverse tra storia e letteratura, antropologia e cinema, educazione, politica e sociologia, che si è voluta considerare l’Avventura in questo volume. Gli interventi sono di natura diversa, ora volti all’analisi del presente, ora a una riflessione storica, ora legati alla considerazione della realtà, ora tesi all’esplorazione dell’immaginario. Ma alcuni fili rossi, alcuni temi ricorrenti, emergono con evidenza e credo che siano buona parte della lettura di questo lavoro. Uno di questi, che più mi preme evidenziare, è la dialettica sempre oscillante tra un atteggiamento esistenziale e culturale teso all’esplorazione e uno alla contrazione. L’avventura, per esistere, ha bisogno di slancio, di una protensione verso il fuori, di uno sguardo volto in avanti, e certo i nostri non sono i tempi più adatti. Paranoia, arroccamento, strategia difensiva, ansia di contaminazione: sono piuttosto queste le parole chiave del presente. E il sistema dei generi, con cui le finzioni rivelano in modo privilegiato il nostro sentire, rispecchia questa atmosfera: viviamo in tempi di noir e non di esplorazioni, lì l’identità non cresce, si frantuma, l’Altrove è diventato labirinto, il brivido del pericolo è dietro l’angolo ma non cercato come sfida. Anche il fantasy, genere principe tra i ragazzi oggi, nasconde un fondamento paranoico dietro a duelli e cavalcate, viaggi e scenari naturali che richiamano l’Avventura: siamo sempre alla fine del mondo, sull’orlo del baratro, è lo spettro dell’Apocalisse a far muovere gli hobbit, non la sfida al padre di Robinson Crusoe. Lo stesso modo di vivere e sentire il futuro serve a capire in nostro rapporto con l’Avventura, che il futuro c’è l’ha nella sua stessa etimologia, non può farne a meno. E anche in questo caso il panorama non è roseo. Ma lo scenario cambia se ribaltiamo l’ottica, come consiglia Maria Attanasio nella sua riscrittura di De Amicis: non più dagli Appennini alle Ande, ma viceversa. I viaggi dei migranti nella loro tragicità incarnano i riti e i significati dell’Avventura, il loro sguardo e le loro speranze, non certo prive di disillusione e lucidità, riattivano un senso di futuro. Non a caso Stefano Laffi ricorda che sono gli studenti stranieri quelli che vivono ancora la conoscenza come impresa da affrontare ed esito importante per la costruzione dell’esistenza. E arriviamo così alla sfera dell’educazione, quella che è stata il motore principale della nostra riflessione, nella convinzione che sia l’unica forma davvero ancora possibile di agire politico, di trasformazione del reale. Non importa che siano tempi adatti o poco ospitali per l’Avventura: conta l’imperativo di riconsiderarla e di utilizzarla come risorsa pedagogica insostituibile. È la sua desinenza futura che va ritrovata e riattivata: con essa si tramuta lo sguardo, si trasforma la rassegnazione in curiosità, si riaccende il desiderio. E ci si allena anche a pensare il nostro mondo come una delle tante possibilità, e come tale modificabile, relativo, non solo pesante eredità. L’Avventura è sempre anche educazione al senso di alternativa, di nuovi scenari possibili, di diversi stili di vita, dell’agire politico. Ed è anche, infine, strumento per una riappropriazione del senso della temporalità, perché essa non vive solo del presente dell’azione, ma anche della pausa dell’attesa, dei tempi lunghi del viaggio e della percorrenza, del volgersi all’indietro del ricordo, della stratificazione e consegna di memoria, magari trasfigurata in leggenda. Si rivela allora antidoto prezioso contro la nostra tendenza a vivere di puro presente, di momenti accostati e giustapposti ma non concatenati, di rimozione costante di ciò che è appena accaduto. Solo un equilibrato rapporto con il tempo trasforma le nostre azioni in esperienza, i nostri percorsi in crescita, i nostri ricordi in senso della Storia, i nostri desideri in progettualità. E allora le frontiere ritornano a comparire, le imprese sono ancora a disposizione, il presente si fa occasione di esplorazione, dura e difficile, sempre più complessa, ma ancora possibile.
Emilio Varrà
Indice
Goffredo Fofi. L'avventura oggi
Vittorio Giacopini. La fine dell'avventura e la politica
Emiliano Morreale. Il fine dell'avventura
Renato Novelli. Esotismi
Giuseppe Corrias. Un mondo più stretto
Mimmo Candito. Raccontare la guerra: la (dis)informazione e la (dis)avventura
Bruno Falcetto. Catastrofi e consumi. Lo sguardo narrativo di J.G. Ballard
Stefano Laffi. Crescere oggi: chi ha rubato il traguardo?
Maurizio Braucci. Fino all'ultimo respiro: avventura metropolitana e adolescenza oggi
Nicola Lagioia. Dall'oro del Klondike alle autostrade di David Lynch: l'avventura come dovere etico
Marco Corsetti. Le leggi del viaggio
Maria Attanasio. Il ribaltamento di Cuore: dalle Ande agli Appennini
Paola Splendore. Conrad e la fine dell'avventura (l'emigrante, il più innocente degli avventurieri)