Dalle 25 lezioni di pedagogia della lettura che si snoderanno lungo l’anno accademico, scaturiscono dubbi, domande, riflessioni mai sopite negli anni di magistero, sulla possibilità dell’audace offerta di libri nati per adulti, corposi in volume e sostanza, agli adolescenti di oggi. Un’alternativa ai testi specificatamente adolescenziali di cui anche Rodari si diceva un netto oppositore.
di Antonio Faeti
Sono trascorsi 35 anni dal momento in cui cominciai a pensare a un corso simile a quello che inizierò il 27 ottobre. In un periodo di tempo così lungo ho avuto molte occasioni, molti ambiti, molti interlocutori, molte sollecitazioni, ma ho sempre rinviato l’incontro con i dubbi, con le incertezze, con le ansie che si collegano con un corso di questo tipo. A metà degli anni ’70 mi accadde di affrontare, con Gianni Rodari e Natalia Ginzburg, in occasioni diverse, il dilemma pedagogico da cui il corso scaturisce. La scrittrice aveva creato, per la Emme Edizioni di Rosellina Archinto, la collana I pomeriggi, che doveva raccogliere volumi offerti ai lettori adolescenti. Ero stato invitato più volte a presentare la collana e, al momento del dibattito, molti colleghi insegnanti mi domandavano di giustificare, con argomenti più efficaci e robusti di quelli da me usati, la presenza, nella collana, di Tolstoj, della Serao, di Francis Scott Fitzgerald, ovvero di autori che avevano scritto per un pubblico adulto. Erano anni, quelli, in cui gli editori più accorti e sapienti dedicavano particolare cura alla ricerca di testi specificatamente “adolescenziali”; uno di questi libri l’avevo scritto io, I viaggi di Taddeo, accolto con festosa simpatia da Calvino e da Einaudi, presentato briosamente da Umberto Eco: un testo che esisteva soprattutto per contrastare la linea scelta dalla Emme. Poi, in una lunga conversazione con Gianni Rodari, lo sentii splendidamente esporre le ragioni che lo vedevano nettamente contrario all’esistenza di libri specifici per l’adolescenza, tanto che si augurava solo una avventurosa navigazione nell’oceano della grande letteratura. Insieme rammentavamo anche i tempi in cui, fuori dalle chiese, erano esposte le liste con i libri sconsigliati, vietati, proibiti, interdetti, e Gianni mi immaginava, sorridendo, mentre, da adolescente appunto, io ricopiavo i titoli per poi procurarmi quelli più severamente condannati. Le sue risate diventavano irresistibili e incontenibili quando gli facevo notare che l’editore più frequentemente riportato nelle liste nere era un editore di estrema destra come Longanesi: io infatti, avevo letto da ragazzo innumerevoli titoli longanesiani solo perché comparivano negli elenchi odorosi di zolfo: La signora scostumata, Peccatori di provincia, La bandera, Amori d’Oriente... Rideva, l’ottimo comunista Rodari, nel sentire elencare questi velenosissimi titoli giunti in modo così tortuoso all’attenzione di un adolescente.
Io ero però in bilico tra il desiderio di riservare il mio Taddeo agli adolescenti e quello di metter loro in mano il mondo sapiente e derelitto della Serao.
La scelta che mi ha condotto a ideare le 25 lezioni poste sotto il titolo Le doppie notti dei tigli, nasce evidentemente dai dubbi di allora, e questi dubbi saranno ben presenti in ogni lezione del corso.
Esistono, tuttavia, nuovi motivi, più urgenti considerazioni, temi nuovi, rischi nuovi. A metà degli anni ’70 non si parlava ancora di narcisismo di massa (anche se il libro che ne forniva la diagnosi era già stato edito), e pertanto non si sapeva che il terribile morbo attecchisce negli anni dell’adolescenza, quelli in cui si deve individuarlo e aspramente combatterlo. Non si sapeva nulla dei bamboccioni, con la loro equivoca presenza, con le tracce del loro morbo che balzano fuori da tutti i media, vecchi e nuovi. Non si alludeva al peterpannismo, che oggi infuria come un tempo la vecchia Spagnola. Così, con la percezione precisa dell’esistenza di queste epidemie, si deve pensare a un rapporto, tra adolescenza e lettura, che ritrovi le ragioni della Ginzburg e di Rodari. Ma, anche se, dalla scelta dei titoli elencati nel programma del corso, può scaturire un atteggiamento fermo, che ha superato dubbi e incertezze, restano ancora tante domande: in ogni lezione del corso verranno formulate, collocate in vari contesti, messe in relazione con vari temi.
Al di là dei dubbi già presenti 35 anni fa, c’è però un’autobiografia di un lettore che si offrirà nelle lezioni come testimonianza e come fondamento pedagogico da cui partire. Nell’indimenticabile lezione del mio Maestro, di Giovanni Maria Bertin, io ritrovo costantemente l’Inattuale e l’Inautentico, due riferimenti che appaiono vivissimi nella scelta dei titoli delle 25 lezioni. È così evidente, nella mia memoria, il senso di rinnovamento e ridefinizione che provai seguendo le lezioni del 1959-60, dedicate al valore pedagogico dell’ideale estetico, che nella scelta di ogni titolo ho avuto sempre presente quel percorso. Avevo letto, da adolescente, Jules Barbey d’Aurevilly, lo ritrovai nelle lezioni di Bertin, magistralmente collocato fra quanti avevano azzardato la definizione e la proposta di una “pedagogia dell’estetismo”, e quale potrebbe essere, nella bituminosa volgarità del presente, una gloriosa rilettura di un capolavoro dello scrittore francese, quel cavaliere Des Touches, personaggio storico oltre che letterario, e incredibile avo di Louis-Ferdinand Céline? Per Bertin l’istanza della ragione andava sempre confrontata rischiosamente con il disordine esistenziale, due momenti che sembrano in sé condensare il ritratto dell’adolescente di oggi, costretto a rivolgere domande a un babbo Peter che è nel disordine più di lui...
Così, la scelta di ogni titolo dei 25 proposti ha proprio questo fondamento pedagogico: sono tutti inattuali, oscillano tutti tra il disordine esistenziale e l’istanza della ragione. Ci sono inattese convalide, alle quali propriamente non pensavo: quando ho scelto di dedicare la lezione del 23 febbraio 2010 al libro di Willa Cather, La casa del professore, non pensavo in alcun modo che sarebbe stato riedito e riportato in libreria: eccolo lì, tra molte novità inutili, scurrili, banali, questo grande romanzo che conduce le grandi domande di una scrittrice cattolica fino agli scenari che furono poi scoperti e amati da John Ford. Così, con i mezzi di oggi, l’adulto intende far leggere questo libro straordinario a un ragazzino di oggi, può valersi della proiezione di un film memorabile come Sentieri selvaggi, attuare confronti, reciproche correlazioni. Proponendo un volume, oltre a cercare per esso una giustificazione pedagogica, tenterò anche di offrire, ogni volta, le modalità didattiche, i “trucchi”, le cornici, i giochi dei rimandi, i contesti, gli elementi validi e nascosti, insomma tutto quanto, a mio avviso, può garantirgli quel processo di “fascinazione” che lo deve rendere irresistibile agli occhi dei possibili lettori. C’è, anche qui, una calcolata contraddizione: è ovvio che nessun spontaneismo, nessuna pedagogia da cretinismo bamboleggiante, nessuna idiozia da merendine del tipo “diamo loro ciò che desiderano davvero”, si può tollerare in una proposta di questo tipo. Ogni lezione definirà, esplicitamente, un tipo diverso di strategia, perché nessuno può più contare sulle eccitanti liste di proscrizione o sul genio di Leo Longanesi: oggi ogni inferno è artificiale, ogni dannazione è programmata.
Ho, del resto, tentato di collocare nelle 25 lezioni solo testi che io avevo letto nel triennio a cui è rivolta la mia attenzione e sono riuscito a trovare 18 libri molto amati negli anni della scuola media e 7, ai quali non potevo rinunciare, letti invece quando ero ormai un giovane lettore. Le obiezioni più facili da formulare mi sono già ben presenti. Per la lezione del 2 febbraio 2010 è previsto l’esame di un testo, Schiavo d’amore, di William Somerset Maugham, un testo che ho letto mentre frequentavo la seconda media, nell’anno scolastico 1951-1952: oggi, il dubbio preliminare può riguardare la mole di questo sterminato romanzo, a cui si collega il quesito: si può davvero pensare di offrire ai ragazzi di una media di oggi un libro “grosso” come questo? Ebbene: la schiavitù che opprime il giovane Filippo, reso infelice anche da un difetto fisico da cui è tristemente umiliato, è una schiavitù sottratta alle guerre civili, alle emancipazioni, alle redenzioni. Perché Filippo ama follemente Mildred, ma non la stima, anzi è perfettamente in grado di cogliere ogni sfumatura della bassezza morale della ragazza, della sua assoluta volgarità, della sua greve appartenenza a un mondo bieco e ignobile. Ma non è proprio questo l’amore adolescenziale, quello più vero, anzi l’unico? Non ci si innamorava così anche nel 1952, ovvero di quella biondina che faceva la commessa all’Upim, scambiava i congiuntivi con i condizionali, masticava gomma americana in continuazione e si profumava con essenze acquistate nel suo grande magazzino così da assomigliare, olfattivamente, a una cocotte degli anni di Napoleone III?
Un libro, tuttavia, “si porge”; anche Schiavo d’amore è al centro di una specifica pedagogia della lettura che deve renderlo affascinante sfruttando ogni pretesto, ogni allusione, ogni contaminazione, ogni collegamento. Filippo frequenta a Parigi gli Impressionisti, perché vuol fare il pittore: tante pagine fresche, nuove, valide anche oggi, possono essere lette pensando al trionfo attuale di quel movimento pittorico sul quale si appoggiano, ora, tante mostre di carattere speculativo che possono fornire suggestioni. Filippo vive nel passaggio tra il regno di vittoria e quello di Edoardo: è un’epoca affascinante e poco conosciuta, con al centro la guerra anglo-boera che è sempre bene ritrovare e conoscere. Filippo non è certo il solo eroe di Somerset Maugham, un grande romanziere molto letto, con tanti titoli: al mio corso leggerò alcune pagine da Pioggia, un suo lungo racconto che conserva intatto il suo fascino. La stessa figura dello scrittore si presta a eccitanti esplorazioni: lo “schiavo” era lui, il romanzo è in gran parte autobiografico...
Il corso di pedagogia della lettura e dell’immaginario che tengo nell’ambito del “Progetto Rocchetta Mattei” della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, è alla sua terza edizione. Nelle 25 lezioni distribuirò 25 “false copertine” da me disegnate, perché ogni corsista sia reso partecipe anche in questo modo, di quella civiltà del libro e della lettura che è la cornice indispensabile per ogni pedagogia e didattica della lettura. La “falsa copertina” creata per l’impossibile edizione di Schiavo d’amore, raffigura un angolo di giardino, con rovine, dove due donne eleganti e dignitose sembrano fare da sfondo a una terza donna che appare molto simile alle fanciulle mediocremente depravate, icone ribadite dell’eros tra Ottocento e Novecento. È una copertina molto diversa da quella del sommo Giorgio Tabet, voluta da Mondadori per l’Omnibus in cui aveva collocato Schiavo d’amore. A mio avviso, la cultura delle copertine è parte integrante della pedagogia della lettura.
Dal libro di William Somerset Maugham è stata tratta, insieme ad altre due, la versione cinematografica del 1934, con Leslie Howard nella parte di Filippo e Bette Davis in quella di Mildred: con i mezzi di oggi si può tutto, così non perdo la speranza e suggerisco l’utilizzazione delle immagini, indico la figura di un pittore adatto ad accompagnare le pagine di Schiavo d’amore, così come collego un pittore agli altri 24 testi. La scelta di Paul Gauguin per Schiavo d’amore è semplice, quasi obbligatoria, perché La luna e sei soldi di William Somerset Maugham è la vita romanzata del pittore, ma potrebbe accompagnare benissimo la lettura della vita di Filippo.
In ogni lezione anche le immagini, quindi, una raccomandazione pedagogica che risale al mio Guardare le figure, che è del 1972. Ma la suggestione iconografica non può distrarre da un compito fondamentale: la lettura ad alta voce di molti brani tratti dal libro. Schiavo d’amore è stato così famoso e presente nell’immaginario degli italiani da indurre la RAI a produrre una versione radiofonica del romanzo. Non si raccomanda mai abbastanza di teatralizzare senza timori quel tipo di lettura.
Eccomi alla vigilia del corso, con gli stessi dubbi da cui ero preso il pomeriggio del primo ottobre 1959, mezzo secolo fa, quando scesi dalla corriera per incontrare i 17 alunni della quinta maschile di Castelletto di Serravalle capoluogo, i miei primi scolari. I dubbi attuali sono semplici da elencare anche se sono drammatici nella sostanza. Del primo ho già trattato: è valida questa proposta che consiste nell’offrire libri creati per un pubblico adulto ad adolescenti di cui si dice e si scrive tanto male? E loro, i titoli, con le false copertine, con i miei 25 commenti da offrire di volta in volta ai corsisti, il pittore di turno... tutto questo doveva esistere proprio così?
La pedagogia del dubbio è sorella della pedagogia della lettura. Conoscevo un libro di propaganda bellicista, molto famoso un tempo, che era piacevolmente intitolato Gli Unni e gli altri. Ne sono sempre stato condizionato, anche perché sono irriducibilmente italiano. In Italia gli “altri”, cioè i lettori, sono pochissimi, gli Unni, cioè i non lettori, sono tantissimi. Ma sono anche poco belli da guardare, gli Unni non lettori. Ritornerò su questo tema, in molti modi, dal 20 ottobre 2009 al 18 maggio 2010.
(da LiBeR 84)