«La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poiché essi sono una transizione»
Friedrich Nietzsche, Prologo di Zarathustra, 4.
Fare del proprio dissolversi un momento di bellezza, una promessa di nuove nascite. Farlo sempre, perché si obbedisce a una propria legge interna e non per gli spettatori che pure, inevitabilmente, ci saranno. Farlo e basta, perché le uniche resurrezioni che ci sono concesse sono quelle di noi stessi, nel giorno dopo giorno del nostro viverci.
Quanto hanno a che fare il concetto di tramonto e quello di coraggio?
È qualcosa che, al Festival internazionale di letteratura di Gavoi, dal 4 al 6 luglio 2008, “soli” grandi e piccoli hanno cercato di capire, leggendo, giocando, incontrando editori, studiosi, autori, attori e illustratori provenienti da tutto il mondo.
Tra questi, tre autori tra loro diversissimi, eppure apparentati da uno stesso impeto etico e narrativo, hanno tracciato dei sentieri nel viaggio del coraggio che, insieme, ci va di ripercorrere. Tre autori importanti, i cui nomi, da soli, dicono di audacie e paure importanti, sempre bilicate tra progettualità e memoria, in un nodo che solo lo stare dentro il proprio esistere può determinare: Uri Orlev, Lia Levi, Alberto Melis.
Durante il festival, un bambino ha definito il coraggio “ quella cosa che hai dentro che, se non ce l’hai, non fai nulla”. Condividi questo approccio “per sottrazione”?
Alberto Melis. Solo in parte. Ma certo questa definizione, per la sua intensità e assolutezza, dà da riflettere su quanto il binomio paura – coraggio costituisca, peraltro consapevolmente, uno dei tratti fondanti del rapporto tra i bambini e il mondo che li circonda…
Lia Levi. È una definizione carina, ma forse un po' apodittica. Certe volte uno non è nemmeno consapevole di custodire dentro di sé una bella dose di coraggio, e se ne accorge solo quando, di fronte a un’emergenza, si scopre una inaspettata riserva di forza reattiva.
Uri Orlev. Certo, il coraggio è celato nel nostro profondo, ma talvolta nei momenti di crisi, di ansia o di paura tutti gli esseri umani, grandi e piccoli, si bloccano, incapaci di agire. Questo coraggio celato spesso è impercettibile perfino per noi. Non sappiamo mai quando deciderà di risvegliarsi, poiché nessuno riesce a prevedere il proprio comportamento nelle situazioni di emergenza. Se ad esempio una persona che amiamo incorre in un pericolo imminente e reale, tutto a un tratto la nostra vita appare insignificante di fronte a quella dei nostri cari. Ed è lì che, con grande sorpresa, scopriamo il nostro coraggio.
Lo psicoterapeuta Domenico Barrilà ha dato invece una definizione che si potrebbe sintetizzare così: “il coraggio è la capacità di saper accettare le proprie sconfitte e di saper ripartire”. Può essere questo il coraggio?
Alberto Melis. La definizione suggerita da Barrilà ha una sua ragion d’essere, nel senso che il coraggio, inteso come atteggiamento o propensione positiva verso le difficoltà della vita, è qualcosa che si può costruire giorno dopo giorno anche sul piano esperienziale. Di certo sbruffoneria e arroganza, come ricordava Gandhi, sono il palesarsi di un’indole soffocata o dalla paura o dal narcisismo, spesso da entrambi…
Lia Levi. Mi convince molto quel “saper ripartire da capo dopo una sconfitta”. I coraggiosi fra l’altro molte volte si riconoscono più nelle cose piccole che in quelle grandi. L’eroe, quello che compie gesti clamorosi e definitivi, è un’altra cosa. Nell’eroe di questo tipo, il coraggio è alla sua apoteosi, è visibile, anzi splende. Ma è un’eccezione. Io, in un certo senso, ammiro di più il coraggio quotidiano, quel sapere ricominciare da zero, ma anche prima, nel momento in cui si affaccia una vera difficoltà o un pericolo e si riesce a dire “io lo affronterò, io mi salverò”.
Uri Orlev. Non so disquisire sul coraggio dal punto di vista filosofico. Credo sia compito degli esperti in materia. Io posso parlare solo della mia esperienza e delle persone che ho conosciuto nel corso dei miei 77 anni di vita.
Il termine coraggio, inevitabilmente, evoca il suo contrappeso psicolinguistico: la paura. In che rapporto stanno per te?
Alberto Melis. Inscindibile, ciclico, complementare. Come l’alternarsi di giorno e notte, cosa che richiede capacità di adattamento e consapevolezza che ambedue sono parti costituenti della nostra natura…
Uri Orlev. Coraggio e paura. Amore e odio. Salato e dolce. Avarizia e generosità. Atti crudeli e atti caritatevoli. Questa è la nostra vita. È tutto reale. Non è un caso se le varie religioni contemplano le forze del bene e del male, Dio e Satana.
Lia Levi. Per me la paura, in questa fase della mia vita, viene a mischiarsi fino a fare tutt’uno con l’ansia. L’ansia non è altro che una paura proiettata su un futuro foriero di possibili catastrofi, che potrebbero incombere su te e sulle persone che ami. La chiamerei “paura ipotetica” e credo che riguardi di più un’età matura, quando si sono già visti o sentiti raccontare tanti incidenti e delitti per cui non si fa fatica ad almanaccarci sopra. Essere scrittori e quindi abituati a far correre la fantasia (in questo caso negativa) certo non aiuta. Mi sembra di provare maggiore spavento in questo modo che se fossi di fronte a un pericolo concreto e attuale. Un leone che ti si pari davanti all’improvviso di notte in una strada deserta… beh, non so davvero come reagirei.
E riso e coraggio? C’è una relazione, seconde te?
Alberto Melis. Imprescindibile e straordinariamente benefica direi. Cos’è d’altronde il riso, se non la capacità catartica di cogliere anche il ridicolo e il grottesco che si nasconde dietro ogni paura, aiutandoci in questo modo a superarla?
Uri Orlev. Non c’è necessariamente un legame tra coraggio e riso né tra coraggio e pianto. I coraggiosi sono esattamente come tutti gli esseri umani; a volte ridono, altre piangono, senza alcun legame o nesso con le loro azioni, ma piuttosto con l’andamento della vita, della quotidianità.
Lia Levi. Riso e coraggio: è un’affascinante sfaccettatura, ma non obbligatoria. Come la mettiamo con il riso nervoso spesso sintomo di paura?
Nei poemi omerici la paura, il dolore massimi, quelli che portano al pianto sono prerogativa dei veri coraggiosi. Solo chi teme e si commuove davvero può avere il piglio giusto per affrontare la vita. Per questo solo agli eroi è concesso di piangere…. Gli eroi dei nostri giorni sembrano immuni da lacrime. Perché secondo te?
Alberto Melis. Forse abbiamo questa impressione perché non riusciamo a capire chi sono i veri eroi, persone capaci di sacrificarsi per una buona idea o per gli altri: quasi sempre uomini e donne comuni che difficilmente capitano sotto i riflettori. Gli altri, gli eroi mediatici, sono solo figurine di plastica o di cartapesta, per questo incapaci di un vero pianto…
Lia Levi. Il concetto mi sfugge. I veri eroi possono anche piangere? Sì, va bene per gli eroi omerici, ma non per quelli di altri miti, tipo quello dei Nibelunghi. Penso che la natura umana, e di conseguenza la letteratura che la rispecchia, sia così sfaccettata che impedisca di fissarne delle regole. Gli aguzzini nazisti nei lager spesso piangevano ascoltando musica di Beethoven, mentre non sono mai risultate lacrime negli occhi di un eroe del nostro tempo. Per esempio Salvo d’Acquisto.
Uri Orlev. Secondo me la paura e il dolore, anche profondo, non sempre portano le lacrime. Dipende dalla persona, dal suo carattere e dalle peculiarità che lo contraddistinguono per nascita e crescita. Non solo chi teme e si emoziona è capace di confrontarsi con la vita. Anche quelli più dotati di calma e self control lo possono fare molto bene. La civiltà in cui nacque l’Odissea era sicuramente diversa dalla nostra. Non sono esperto in questo settore, ma credo che il pianto non sia necessariamente legato al coraggio. Ho visto piangere uomini temerari, eroi moderni. Oggi nella società occidentale, in conseguenza anche della maggiore uguaglianza tra i sessi, gli uomini si lasciano andare maggiormente al pianto, perfino in pubblico o in televisione. Quando giunsi in Terra di Israele alla fine degli anni ‘40, gli uomini e i ragazzi a scuola facevano di tutto per nascondere le loro emozioni, pur di non essere scambiati, che Dio ce ne scampi, per femmine. Oggi è molto diverso e credo che l’affermazione “gli eroi moderni sono immuni da lacrime” non corrisponda a verità.
C’è una differenza tra il coraggio degli adulti e quelli dei bambini? Quello degli uomini e quello delle donne?
Uri Orlev. Alla base degli atti di coraggio dei bambini o degli adulti stanno le stesse componenti, le medesime caratteristiche; la differenza si trova nelle circostanze in cui si agisce. I piccoli sperimentano situazioni diverse da quelle affrontate dagli adulti. Lo stesso dicasi per uomini e donne, nonostante ai giorni nostri siano in aumento le sfere di vita comuni. Quando ero bambino mai avrei immaginato una donna pilota, o capitano di una nave, astronauta, o muratore sulle impalcature. E neppure mi sarei sognato un papà che sbriga le faccende di casa. Sono lieto che oggi, per lo meno in alcune culture, questo avvenga. Purtroppo sussistono tuttora troppe società in cui gli uomini opprimono donne e bambini, nascondendosi dietro giustificazioni basate su pregiudizi e indottrinamenti di quei capi religiosi che non hanno saputo adattarsi a un mondo più aperto, progressista e libero
Alberto Melis. Forse non tra uomini e donne adulte, salvo la grande disparità di difficoltà e “pericoli” che queste ultime si trovano ad affrontare quotidianamente. Sono convinto invece che il coraggio di bambine e bambini, in ogni sua manifestazione, abbia in sé qualcosa di magico e di struggente, perché è un nuovo atto di nascita, un dirsi e un ripromettersi di essere in grado di affrontare la vita…
Lia Levi. Non esiste una regola, una possibilità di generalizzazione che sia valida per tutte le categorie. Comunque penso che il gesto eroico, quello più clamoroso ed evidente, sia proprio più della figura maschile. Quando riguarda una donna è quasi sempre legato a un atteggiamento ideologico-passionale, spesso vicino al misticismo (vedi Giovanna D’Arco). Per il resto invece vedo molte più donne nella categoria del “coraggio silenzioso”, quella granitica facoltà di reagire alle insidie della vita di cui abbiamo parlato in principio. Salvare se stessa e i figli, lottando con le unghie, è caratteristico del coraggio femminile. Per i bambini è ancora un altro discorso. Il loro coraggio è spesso insidiato dal principio di realtà. La loro ingenuità e la non conoscenza dei meccanismi delle cose della vita può esporli a un pericolo che non sono in grado di valutare. Certe volte questa sprovveduta spavalderia è premiata dalla sorte (qualcuno la chiama Santa Pupa), ma certe volte la Santa non funziona. A parte questo penso che il “coraggio silenzioso” di cui stiamo parlando sia invece più che mai appannaggio dei bambini. Nessuno come un bimbo sa “tenere duro” e adattarsi a una nuova situazione di difficoltà, anche perché la sua estrema giovinezza lo rende più duttile e , per congenita curiosità, pronto a cambiare.
Ognuno di voi, nelle proprie opere, ha parlato di coraggio in tempo di pace e in tempo di guerra. C’è un coraggio dell’azione e uno della memoria? O il coraggio è sempre lo stesso, magari quello di narrare?
Uri Orlev. Il coraggio si manifesta nelle situazioni più svariate. C’è un coraggio civile, uno degli eroi di guerra, uno giornalistico e scientifico e quello che ti fa alzare per protestare contro i soprusi. C’è coraggio nell’arte, a volte anche nella scrittura. E non solo in quella giornalistica.
Alberto Melis. A volte è anche quello di narrare e di mantenere memoria, quando la memoria, per esempio, è fuoco che brucia nelle testimonianze della Shoah degli ebrei e del Porrjamos dei rom. Ma il coraggio dell’azione, quello del qui e ora, credo che sia qualcosa che, chi come me ha avuto la fortuna di nascere in tempo di pace, non riesce neppure a cogliere in tutta la sua disperata intensità…
Lia Levi. Primo Levi, rispondendo a una domanda su “cosa ha provato” nel ricordare la sua tragedia in un libro, ha risposto: “Sono passati molti anni… il mio libro si è curiosamente interposto come memoria artificiale, ma anche come barriera difensiva tra passato e presente, e la somma è nettamente positiva… Scrivendo ho imparato molte cose sugli uomini e sul mondo”. Anche facendo le debite proporzioni di destino personale e letterario, ho sempre sentito più o meno così. Raccontare in un libro le mie vicende di bambina ebrea perseguitata non ha rappresentato un atto di coraggio, anzi, mi ha aiutato. Coraggio è stato casomai nei lunghi anni precedenti non rifuggire dal dolore e non respingere indietro i ricordi quando si affacciavano a ondate intermittenti.
Quale tra i tuoi libri senti maggiormente figlio del tuo coraggio?
Uri Orlev. Nessuno dei libri che ho scritto nasce da un mio atto di coraggio. Però, narro le storie di audacia e forza di bambini e adulti; alcune le ho vissute, altre le ho viste con i miei occhi.
Alberto Melis. Un romanzo che è stato rifiutato dalle maggiori case editrici e che ho finito per pubblicare presso un piccolo editore sardo. S’intitola Non dire di me che ho fuggito il mare e si muove sullo sfondo dell’antisemitismo di matrice cristiana, un argomento ancora oggi tabù…
Lia Levi. Istintivamente direi Una bambina e basta perché è stato da lì, da quella esperienza autobiografica che è partita tutta la mia narrativa successiva. In seguito quel tema è tornato in altri romanzi, sia per ragazzi che per adulti, con vicende di fantasia che hanno però pescato nell’”humus” fervente di sensazioni in cui mi sono formata. Quindi, tornando alla domanda, non solo il primo, ma tutti gli altri miei libri sul tema sono “figli del coraggio”.
Il 5 settembre cade il 70° anniversario della firma delle leggi razziali da parte di Vittorio Emanuele III e di Mussolini. Parlarne insieme a bambini e adulti, in un festival estivo (qualcuno direbbe “vacanziero”) è stato forse un atto di coraggio. Che fare perché questo coraggio di guardare alla propria storia, anche alla parte più brutta, non muoia?
Alberto Melis. Dobbiamo semplicemente continuare a parlarne, e a scriverne, perchè ciò che è successo ci riguarda sempre e comunque tutti.
Uri Orlev. Penso che anche in un festival estivo, dal profumo di vacanze, i bisogni dei bambini non siano solo “spasso”, risate, divertimento e il piacere di fare sport. I bambini necessitano di quella libertà di movimento di muscoli e cervello, di quella gioia d’azione che si traduce in pensiero, comprensione e opinione. Per questo sarebbe opportuno trattare ogni tematica impegnativa e interessante con i gruppi di bambini e ragazzi che si trovano insieme e che hanno tempo libero a disposizione per diverse attività, serie e non. Ovviamente è importante conoscere le modalità di conduzione della discussione con i piccoli e i giovani.
Lia Levi. Puntare sulla letteratura, e più che altro sulla letteratura romanzesca, credo che sia stata proprio la carta vincente. Un romanzo adatto ai bambini riesce a catturarne l’attenzione, trascinandoli per mano e senza appesantirli, e li introduce così nelle vicende legate alla Storia. Sono convinta che questo sia il metodo giusto per riuscire a fare avvicinare anche gli adulti alla discussione di argomenti che in apparenza potrebbero suonare ostici. Certo, essere stati fra i primi a imboccare questa strada va proprio iscritto a merito del Festival di Gavoi, un Festival anche ad ampia frequentazione popolare… Se non è coraggio questo!
Teresa Porcella
Responsabile Settore Ragazzi del Festival di Gavoi
La traduzione delle risposte di Uri Orlev è stata fatta da Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano.
Il festival di Gavoi
La quinta edizione del Festival Letterario della Sardegna si è svolta a Gavoi dal 4 al 6 luglio.
Il festival, organizzato dall’Associazione Culturale Isola delle Storie, di cui lo scrittore Marcello Fois è Presidente, è articolato in due sezioni: una dedicata agli adulti e una riservata ai ragazzi.
Quest’ultima, a cura di Teresa Porcella e dell’Associazione Scioglilibro (www.scioglilibro.it) in collaborazione con il Centro Servizi Bibliotecari della Provincia di Cagliari, ha avuto come tema della quinta edizione il coraggio.
Quest’anno il Festival di Gavoi, ha vinto il Premio Andersen – Il Mondo per l’Infanzia “per la promozione della cultura e della lettura 2008”, con la seguente motivazione:
“Per aver saputo creare in una piccola realtà un appuntamento annuale che sempre più va assumendo rilievo e dimensione nazionali. Per il valore decisivo affidato alle storie: storie di parole, di figure, di libri fra memoria e intervento nel presente. Per dar vita a uno scambio quanto mai fecondo tra i momenti dedicati agli adulti e quelli dedicati all'infanzia”. Per informazioni http://www.isoladellestorie.it.