di Frediano Sessi
Che cosa si intende per Resistenza? La seconda guerra mondiale in Europa è stata teatro di un duplice conflitto: da un lato, quello che ha visto contrapposti i due schieramenti degli eserciti regolari nemici; dall’altro, lo scontro di una parte della popolazione vinta e conquistata pronta a insorgere e a ostacolare l’oppressore occupante, decisa a combattere con ogni mezzo nella clandestinità e in scontri aperti.
Questa guerra “nell’ombra” si inserisce nella grande guerra degli alleati contro le potenze nazifasciste e rappresenta insieme una forma di riscossa di un popolo reso schiavo e umiliato, ma anche l’affermazione del principio di una comunità a sentirsi nazione. Al di là delle motivazioni diverse e specifiche di ogni movimento di Resistenza e delle sue varie componenti interne, la guerra di liberazione rappresenta in tutta Europa l’espressione di una esplicita temperie culturale che trova spazio dapprima in una minoranza, e in seguito in una sempre più ampia quantità di popolazione, per la quale la scelta della libertà e della democrazia costituisce un valore in sé, contro il totalitarismo. In questo senso va letto l’aspetto politico della Resistenza europea, non necessariamente identificabile con il ruolo che assunsero al suo interno i diversi partiti politici. La motivazione patriottica è prevalente in quelle situazioni in cui l’invasione e l’occupazione dei tedeschi rompe il tradizionale equilibrio di lealtà politica e stabilità sociale, come in Olanda o in Norvegia e per condizioni diverse in Belgio e Danimarca. In altre realtà sembra prevalere, a fianco delle ragioni della patria, la motivazione rivoluzionaria, come è il caso della Iugoslavia, dell’Urss e di una parte del movimento resistenziale italiano. In ogni caso, pur nel rispetto delle reciproche differenze, che dipendono da fattori interni alle società nazionali coinvolte e dal rapporto che i movimenti hanno con le rispettive istituzioni – e pur accettando la differenza tra Resistenza nell’Europa occidentale e nell’Europa orientale; la Resistenza sovietica, per esempio, è diretta dal potere centrale – ovunque in Europa la Resistenza si presenta innanzitutto come un fenomeno politico e militare.
Sul piano militare la guerra clandestina assume caratteri diversi dallo scontro tra eserciti: il reclutamento, per esempio, è quasi sempre il prodotto di scelte spontanee dei singoli o di gruppi, e l’armamento a disposizione delle brigate combattenti è spesso insufficiente, così come la preparazione dei partigiani, quando provengono dalla società civile e non dall’esercito nazionale. Per questo sono pochi i nuclei clandestini che si impegnano in scontri in campo aperto e che sperano di vincere il nemico frontalmente. Le formazioni partigiane, non potendo operare come gli eserciti regolari a livello strategico, si impegnano in azioni tattiche di disturbo (attentati, sabotaggi, scioperi ecc.) pronte a eclissarsi quando la minaccia del nemico appare troppo incalzante, per poi riapparire poco dopo e altrove, quando le condizioni tornano favorevoli.
Il partigiano combatte in patria (anche se la lotta antifascista ha visto la presenza di combattenti di altri paesi accanto alle formazioni partigiane nazionali), quando gli eserciti regolari sono stati sconfitti o sono impegnati in duri scontri; e si batte contro l’invasore e contro i suoi “amici interni”. Per questo, spesso la Resistenza è stata identificata, almeno in alcune sue parti e zone geografiche d’Europa, con la guerra intestina chiamata anche “guerra civile”. Sotto questo aspetto, la guerra partigiana può rivolgersi contro una parte dei propri connazionali, e contro l’amministrazione pubblica o privata del proprio Paese, fino a sabotarne l’economia, i mezzi di trasporto ecc. E mette in evidenza la presenza di due concezioni diverse della Patria: da una parte quella nazifascista, fondata sul razzismo e i Lager, la violenza e i grandi progetti di colonizzazione di terre e popolazioni da schiavizzare; dall’altra quella democratica, con a fondamento le libertà e i diritti del cittadino. Concezioni che taluni ancora oggi vogliono mettere sullo stesso piano (con progetti di conciliazione nazionale e di revisione/negazione della storia), ma che si scontrano più che con le singole volontà dei protagonisti, con l’inconciliabilità stessa dei contenuti dei due progetti di società nazionale cui tendono.
In questo senso, nonostante il breve periodo di durata e sviluppo (in Italia prende inizio dopo l’8 settembre del 1943 e termina il 25 aprile del 1945), la Resistenza ha prodotto valori duraturi e per molti aspetti rappresenta la base di consenso di quasi tutti i sistemi politici nati in Europa nel dopoguerra.
Alla caratteristica di lotta di liberazione del territorio nazionale, la Resistenza unisce anche una forte tensione verso il recupero della dignità dell’uomo: e su questo specifico terreno forze politiche differenti e, in tempo di pace, antagoniste si sono ritrovate fianco a fianco, dando prova di una profonda unità clandestina, anche se raggiunta con dibattiti e contrapposizioni che hanno fatto la storia di ciascun movimento nazionale di liberazione.
Proprio perché la lotta clandestina non obbedisce alle regole della guerra e rappresenta un secondo fronte pericoloso e insidioso alle spalle del nemico, l’occupante o il collaborazionista impegnano contro di essa forze regolari o squadre speciali che agiscono con spietato terrore anche sulla popolazione civile, trasformando lo scontro in guerra totale, fatta di rappresaglie, torture, fucilazioni, esecuzioni sommarie, razzie, distruzioni di intere comunità (come è avvenuto per esempio a Marzabotto, o Sant’Anna di Stazzema), non sempre giustificate, per altro, dalla presenza o dalle azioni dei partigiani. All’insicurezza provocata dagli attacchi improvvisi e dalla minaccia di questa guerra nell’ombra, sempre più sostenuta dai civili, l’esercito nazista e fascista reagiscono con procedure antiguerriglia che tendono a considerare la popolazione responsabile della presenza partigiana, per cui “dove è presente un numero consistente di bande, dovrà essere catturata una percentuale, da stabilire di volta in volta – si scrive in un documento riservato del comando tedesco di occupazione in Italia – della popolazione maschile residente in zona, per fucilarla” e si sottolinea anche che “ogni abuso sulla popolazione civile non sarà punito”. Oggi gli storici che maggiormente studiano questi temi sono concordi nell’affermare che non c’è corrispondenza tra gli abusi di violenza sui civili e la presunta reazione militare alle azioni di Resistenza.
L’evoluzione dei movimenti di opposizione e di Resistenza si articola quasi sempre in diversi momenti. Alla fase della ribellione spontanea che dà luogo alla formazione di gruppi autonomi e spesso legati a partiti e formazioni politiche, segue uno sviluppo organizzato della Resistenza sul piano nazionale, spesso ottenuto a fatica e non senza conflitti interni, che conduce a una comune tattica di lotta, quasi sempre in collegamento con l’esercito alleato, e alla fase finale dell’insurrezione nazionale, cui spesso seguono governi provvisori autonomi o sotto tutela dei governi provvisori degli alleati.
Nasce all’indomani dell’8 settembre 1943, a seguito dell’annuncio del Maresciallo Badoglio dell’armistizio tra l’Italia e le Nazioni Unite. Alle origini della scelta resistenziale si può cogliere una varietà di motivazioni individuali molto ampia, che vanno da una precisa scelta antifascista e antinazista alle ragioni personali (spirito di avventura, amore per il rischio); dalle condizioni di classe all’amor patrio ecc. Un fattore importante di maturazione è costituito dal tragico epilogo della guerra fascista, che porta a compimento il processo di disaffezione al regime, iniziato negli anni precedenti. A nord il crollo dello Stato e lo sbandamento delle truppe dell’esercito favorisce la nascita dei primi nuclei di partigiani, formati appunto da militari di ogni grado, che decidono di combattere i nuovi nemici o che si danno alla macchia per sfuggire alla cattura dei tedeschi che arrestano e deportano in Germania quasi ottocentomila tra soldati e ufficiali italiani delle forze armate. Il primo “ribellismo” spontaneo darà luogo nelle settimane successive alla costituzione organizzata delle bande partigiane cui dà primo impulso il Partito Comunista Italiano con le Brigate Garibaldi (novembre 1943) e cui seguiranno le formazioni del Partito d’Azione, vale a dire le Brigate di Giustizia e Libertà, le formazioni autonome, le formazioni Matteotti, le Osoppo ecc. che vedono tutte le componenti della società italiana (comunisti, socialisti, cattolici, azionisti, liberali ecc.) darsi un’organizzazione per combattere l’occupante e i fascisti, che nel frattempo si riorganizzano nella Repubblica Sociale Italiana.
La costituzione non semplice dei CLN, i Comitati di Liberazione Nazionale – centrale, e nelle varie regioni e località – che affideranno la guida della lotta armata al CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, con sede a Milano) dà nuovo impulso all’unità della lotta di liberazione. La Resistenza interna fa un altro passo verso un coordinamento generale quando nel gennaio del 1944 il comando militare del CLNAI si trasforma in CVL, Corpo Volontari della Libertà, che conduce alla lotta finale, non senza tensioni politiche interne e dissensi, le tante e diverse bande partigiane dell’Italia centro-settentrionale.
Tuttavia, è bene precisare che oltre al fronte interno della Resistenza (vale a dire quello costituito dai partigiani che combattono in prevalenza nel centro-nord), in Italia si parla di altri tre fronti resistenziali:
1. Quello dei soldati e degli ufficiali nei campi di internamento militare (che rifiutano di tornare in Italia e di schierarsi con i tedeschi), cui si uniscono i deportati politici ed ebrei nei campi di concentramento e sterminio.
Per semplicità, pur nella profonda differenza delle tipologie di Lager e di internamento, i più diffusi atti di Resistenza si potrebbero così elencare:
– forme di resistenza spirituale, con le quali si è cercato a ogni costo, fin dentro la camera a gas dei luoghi di sterminio, di lottare per mantenere alta la dignità della vittima;
– diffusione clandestina di attività culturali, politiche e di espressioni della ritualità religiosa;
– atti di solidarietà, e altruismo compiuti spesso a rischio della vita (come la distribuzione di cibo e medicine ai più deboli, la protezione degli infermi ecc.) che puntavano a migliorare le condizioni di esistenza nel campo;
– attività di documentazione, cartacea e fotografica fatta per mantenere memoria dei fatti accaduti all’interno del campo, dei nomi dei deportati e per smascherare i crimini degli aguzzini;
– sabotaggio interno, qualunque fosse la durata nel tempo del suo risultato;
– rivolte spontanee od organizzate;
– evasioni;
– lotta per far assegnare incarichi di Kapo a politici;
– Resistenza vera e propria per evitare la distruzione del Lager negli ultimi giorni della guerra.
2. Il fronte dei partigiani italiani all’estero (Francia e Balcani in particolar modo) che riunisce tutti quei militari italiani che dopo l’8 settembre hanno scelto di rimanere in terra straniera a combattere a fianco degli eserciti di liberazione nazionale, per sconfiggere il nazismo e il fascismo e aiutare le popolazioni, un tempo oppresse dallo stesso esercito italiano, a riscattarsi e a riconquistare la libertà.
3. Infine, il fronte dei soldati che costituiscono il Corpo Italiano di Liberazione, che combatte con le truppe alleate che risalgono lo “stivale” a partire dalla Sicilia. Si tratta di militari che nei giorni del massimo sbandamento, seguiti all’8 settembre, in cui per la maggioranza delle forze armate vale il “tutti a casa”, scelgono di continuare a combattere per la democrazia.
La Resistenza civileLa Resistenza civile rappresenta oggi un nuovo passo verso la comprensione globale del fenomeno e si aggiunge agli altri fronti resistenziali, seppure sia ancora meno studiato. Si manifesta in forme diverse, elementari e spontanee e spesso prepara il terreno alle altre espressioni della lotta contro l’occupante. Dall’atteggiamento dei danesi che lasciano i locali quando nei bar entra un ufficiale tedesco, alla protesta dei vescovi e degli insegnanti norvegesi contro gli occupanti, fino alla formazione di scuole clandestine in Polonia e alle azioni di mutuo soccorso nel ghetto di Varsavia, questa espressione della Resistenza è stata poco studiata e spesso anche poco valorizzata.
In ogni caso, la Resistenza non armata ha assunto forme diverse in tutta l’Europa occupata e ha costituito il tessuto connettivo di quella parte della comunità nazionale che ha scelto di non essere indifferente o di non collaborare, direttamente o indirettamente: dalle manifestazioni di protesta spontanee, agli scioperi organizzati che si sono verificati in molta parte d’Europa (compresa l’Italia); dalla disobbedienza civile, come il rifiuto del lavoro obbligatorio, alle forme diverse di mutuo soccorso e reciproco aiuto; dal rifiuto a denunciare i nemici del nazifascismo, fino all’organizzazione di gruppi clandestini che hanno protetto e salvato ebrei e combattenti ricercati, la Resistenza civile ha costituito un argine al dilagare di quella “zona grigia”, di cui parla Primo Levi, per cui il male o l’ingiustizia fatta a un altro non ha valore per il soggetto che non ne è coinvolto in prima persona. La Resistenza civile ha visto in prima fila donne e religiosi, e in genere tutti quegli strati di popolazione non immediatamente coinvolti in operazioni militari.
Molti storici chiamano questa forma di Resistenza “passiva” in quanto non comporta una diretta offesa alle strategie militari dei nemici. Essa non deve essere confusa con le forme di attendismo che si sono verificate anche in Italia, e che vedono una parte della popolazione quasi in una posizione di neutralità, quando invece essere neutrali significa, seppure in silenzio e indirettamente, approvare il nemico. La Resistenza civile ha spesso gettato il nemico occupante e i collaborazionisti nel panico, incutendogli il sospetto che l’oppositore potesse essere ovunque: nel bambino che porta viveri ai partigiani, nella ragazza che distribuisce fogli clandestini, piuttosto che nella donna che funge da staffetta o che dà vita a organizzazioni di sopravvivenza e cura dei feriti o degli ebrei, ecc. Anche per questo nazisti, fascisti e collaborazionisti hanno scatenato contro i civili una guerra che non ha risparmiato nessuno e che ha prodotto migliaia di vittime.
Un breve cenno, per concludere, merita il rapporto tra i movimenti di Resistenza e la coalizione antinazista. Se da un lato i movimenti di Resistenza non nascono per effetto dell’iniziativa o di una chiamata degli eserciti alleati, dall’altro si deve sottolineare come senza di loro nessuna forma di Resistenza avrebbe potuto conseguire il successo finale nella lotta contro il nazifascismo. Il bisogno di riscatto morale di un popolo contro l’oppressore, unito al sentimento di essere parte di un grande fronte antifascista e antinazista spinge i movimenti di Resistenza a collaborare in varie forme e modi con gli eserciti alleati.
Le potenze implicate nel conflitto elaborano reti di rapporti e di aiuti spesso in modo autonomo. Ma è la Gran Bretagna che, finché conserva la guida strategica della guerra, stabilisce le forme della collaborazione con i vari gruppi di Resistenza. Istituisce a tal proposito anche il SOE (Special Operations Executive) per fornire quadri tecnici e di collegamento per le missioni inviate presso le formazioni partigiane, a partire da un’idea precisa del loro ruolo. Più che favorire il movimento di liberazione nazionale, il SOE tendeva a sviluppare azioni di sabotaggio industriale e militare con interventi mirati come l’attacco riuscito contro gli impianti di acqua pesante in Norvegia.
Le potenze alleate sono attente anche ai risvolti politici del movimento di Resistenza, soprattutto quando ne intravedono il forte ruolo sul futuro del governo del Paese liberato, e lesinano aiuto soprattutto alle formazioni comuniste e socialiste, anche se nel caso della Iugoslavia operano con un senso di massima concretezza, dando al movimento nazionale di Tito il riconoscimento conseguente al suo peso nel Paese.
Spesso è accaduto che gli obiettivi della Resistenza non coincidessero con quelli delle potenze alleate (come nel caso della Grecia, o della Polonia) e, per questo, si è verificato che le forme della lotta interna di liberazione, in taluni casi, sono state condizionate anche dalle divisioni e dalle diverse strategie politiche delle potenze alleate.
(da LiBeR n. 66)